venerdì 25 ottobre 2013

Intervista a LiberEtà


libereta.it

Elisabetta Tripodi faceva l’avvocato a Varese, con due figli, un marito, e una vita agiata. Finché decide di tornare dov’era nata, «per il dovere civile di fare qualcosa». A Rosarno la sede fisica del nuovo municipio è qualcosa di atipico per una mente offesa dagli stereotipi: aiuole ben curate, stanze pulite, persone educate, porte aperte, nessun agente a bloccarti.

Sono meravigliato, come quando telefonai a metà agosto per chiedere un incontro, e un assessore perbene mi diede persino il cellulare della sindaca. Una delle donne a capo di amministrazioni coraggiose, in prima linea e perciò più esposte, minacciate, attentate, sotto scorta.
«Il degrado ha origini lontane – racconta – il disordine urbanistico e amministrativo risale agli anni Ottanta: nell’84 un incendio doloso distrusse il vecchio municipio, volevano eliminare le prove di illeciti nelle indagini in corso. Ma quattro anni prima viene ucciso Giuseppe Valarioti. «Quella data segna uno spartiacque storico, la mafia entra di prepotenza nel controllo dell’agricoltura, studia e organizza truffe all’Unione europea, come quella delle arance di carta: associazioni di carte false e finti produttori si arricchiscono totalizzando i contributi, mentre i veri agricoltori si impoveriscono e l’agricoltura deperisce.
La mala politica. «Il problema – spiega Tripodi – è soprattutto di informazione, la Calabria è un cono d’ombra, se ne parla solo per ’ndrangheta o omicidi. Io sono stata fortunata nella mia attività di sindaco perché ho avuto i riflettori accesi, anche la mia elezione è dovuta alla rivolta del 2010 e alle grandi operazioni anticrimine che hanno preceduto il voto, all’indubbia voglia di cambiamento e speranza, alla curiosità verso una donna che va ad amministrare una città che sembra perduta».
Elisabetta Tripodi ha le idee molto chiare. «Non ci si libera facilmente di certi condizionamenti mentali e culturali – mi dice – comunque è sbagliato imputare tutto a un’occulta regia della ’ndrangheta, il problema vero è la mala politica che può anche utilizzare la ’ndrangheta. «Vede, io sono stata eletta anche perché mi interpretavano come una presenza passeggera e innocua, invece io ho agito, dopo un mese dalla mia elezione ho fatto sgomberare la casa abitata dalla madre di un boss (una pratica tenuta nel cassetto da dieci anni), abbiamo abbattuto la cappella abusiva fatta costruire nel cimitero da un’altra cosca… Insomma abbiamo semplicemente applicato la legge uguale per tutti, anche se mi mettevano i manifesti contro. Pochi mesi dopo la mia elezione mi ha scritto dal carcere di Opera un ergastolano recluso da 22 anni: lamentava che la mia giunta si fosse costituita parte civile, che avessimo pregiudizi verso la sua famiglia, che avessimo fatto sgomberare la casa di sua madre… C’è stato un processo per minacce, lui è stato condannato in primo grado a cinque anni e mandato al 41 bis, in appello è stato assolto e io sono sotto scorta».
La sindaca però va avanti, nonostante intimidazioni ad alcuni assessori, atti vandalici su beni comunali, incendi, tagli di piante, e nonostante il governo centrale abbia tagliato il nucleo di prevenzione anticrimine, per tagli alla spesa. «Qui non c’è un commissariato, c’è solo una tenenza dei carabinieri… Lavoriamo molto sulle scuole, cerchiamo di utilizzare al meglio i beni confiscati (uno assegnato agli scout), collaboriamo con Libera di don Ciotti, abbiamo molti progetti finanziati e alcuni quasi ultimati, ci occupiamo molto di politiche sociali, abbiamo istituito un centro alimentare per dare viveri alle persone, c’è molta povertà, la gente è disperata, se ci fosse lavoro non ci sarebbero tante situazioni di disagio che alimentano la malavita… Puntiamo parecchio sulla crescita delle coscienze; abbiamo ottenuto nel 2011 un finanziamento europeo di 14 milioni che ridisegna il volto della città (due cantieri sono già aperti). Ecco perché siamo scomodi, perché stiamo usando finanziamenti pubblici per opere pubbliche invece che in modo clientelare come da tradizione. È un vento nuovo, di idealità nuove, nel quale le donne sindache – appena una ventina su 490 sindaci nella regione – sono una punta simbolica all’avanguardia. Spero che ciò avvicini le persone alla politica concreta e non si dica più, come dicevano a me quando mi sono candidata, ma chi te lo fa fare?».